Sono ripresi i lavori al porto di Trapani, al molo Ronciglio. Una notizia importante, che però sembra come passata in secondo piano. Eppure nel 2013 il sequestro dell'intero cantiere del porto e delle società che avevano vinto l'appalto per la sua realizzazione fu una cosa eclatante. E si parlò anche delle "mani di Matteo Messina Denaro sul porto di Trapani".
Il mega appalto era quello relativo ai lavori per il porto in occasione dell'America's Cup del 2005. Furono sequestrati beni per 30 milioni agli imprenditori trapanesi Francesco e Vincenzo Morici, padre e figlio. E il processo per stabilire se ci sarà la confisca dei beni è ancora in corso. Dal 2013 le aziende del gruppo Morici sono tutte in amministrazione giudiziaria e si attende Febbraio, probabilmente, per avere il primo giudizio. Piccolo particolare, che in questi giorni è una notizia: tra i consulenti dell'amministrazione giudiziaria c'è stato anche l'ingengnere Caramma, marito di Silvana Saguto, l'ex presidente della sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Trapani oggi indagata per la rete di favori e clientele che avrebbe messo in atto.
Secondo gli inquirenti i Morici avevano operato utilizzando un reticolo di imprese, le più importanti costituite a Roma, finalizzate al controllo occulto dei più importanti appalti pubblici aggiudicati a Trapani, con lavori effettuati con metodologie e materiali non conformi, tali da alterare la stabilità delle opere nel tempo.
E qui viene un dubbio: se il porto è stato sequestrato, perché sono stati utilizzati materiali non conformi, tanto da far dire all'imprenditore - mafioso - pentito Birrittella "per il porto di Trapani ho utilizzato il ferro più schifoso che avevo", com'è che adesso sono ripresi i lavori per il completamento?
Il sequestro colpì 142 beni immobili, 37 beni mobili registrati, 36 conti correnti e rapporti bancari, 9 partecipazioni societarie e 6 società, sequestrate e sottoposte ad amministrazione giudiziaria, tra cui il cantiere sull’area portuale di Trapani. Fu disposto per la "Morici Francesco e c. sas", la "Morici immobiliare", la "Coling spa", l'impresa individuale Morici Vincenzo e l'impresa individuale Morici Francesco. Il provvedimento riguardò anche nove partecipazioni societarie: quota della Coling spa della Trapani Infrastrutture portuali; quota intestata alla Morici Francesco della Litoranea nord scarl; quota intestata alla Coling spa della Funivia scarl; quota intestata alla Coling spa della Sperone scarl, quota intestata alla Coling spa della Torre ascensori scarl, quota intestata alla Morici Vincenzo della Eumede srl; quota intestata alla Morici Vincenzo della Port service srl; quota intestata a Morici Francesco della Traghetti delle isola spa.
Il gruppo dei Morici, secondo gli inquirenti, si sarebbe messo d’accordo con le cosche per aggiudicarsi la gara di ristrutturazione del porto di Trapani, tra il 2001 e il 2005, in vista della pre regata della Coppa America. Il gancio politico sarebbe stato il senatore Antonio D'Alì, Forza Italia. Oggi, non solo D'Alì è stato assolto anche in appello per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, ma i lavori al porto di Trapani sono ripresi.
Forse per capire quello che sta succedendo bisogna andare a Palermo. Nel Tribunale del capoluogo siciliano, infatti, si stanno rivedendo molte delle misure di prevenzione adottate in questi anni, anche per cercare di mettere ordine dopo lo scandalo scoppiato in seguito al "caso Saguto". La quinta sezione della Corte di Appello ha accolto il ricorso di alcune delle società coinvolte nel sequestro disposto dal Tribunale di Trapani e che si erano riunite in consorzio. In particolare si tratta di "Trapani Infrastrutture Portuali", "Litoranea Nord" e "Sperone". Erano associate con le società del gruppo Morici, la Cooling Spa e la Morici Francesco & C. sas. Stiamo parlando tra l'altro proprio dei "lavori di completamento del Ronciglio del Porto di Trapani", della gara indetta dal Comune di Custonaci per la "sistemazione idraulica di Contrada Sperone", e dei lavori di riqualificazione della Litoranea Nord di Trapani. In primo grado il Tribunale aveva ordinato la confisca di tutti i beni delle società consortili. Secondo i giudici di primo grado era emersa infatti l'esistenza tra il 2001 e il 2007 di un complesso sistema di corruzione nel settore dei lavori pubblici della Provincia Regionale di Trapani, caratterizzato da sistematiche turbative delle gare per fare gli interessi di Cosa nostra, dato che i vertici del mandamento di Trapani segnalavano le imprese che dovevano vincere e pilotavano l'aggiudicazione degli appalti. Gli imprenditori a loro volta pagavano il pizzo ai funzionari e ai mafiosi. Il tutto sotto il controllo di Francesco Pace, boss mafioso, aiutato da soggetti inseriti nel circuito imprenditoriale trapanese, come Antonino Birrittella e Tommaso Coppola, individuati come punti di raccordo tra Cosa nostra e un gruppo di imprenditori contigui alla mafia, tra cui appunto Francesco Morici e il figlio Vincenzo.
Il decreto di primo grado che dispone la confisca parla di "condizionamento occulto degli appalti", con un "controllo del settore del mercato degli inerti, delle forniture edili, dei conglomerati cementizi, delle imprese del movimento terra". Tra l'altro nel tempo, ricorda il Tribunale di Trapani, le indagini si sono sviluppate, e sono state acquisite alcune confessioni, come quelle di Birrittella - vero e proprio "pentito" -, Coppola e di alcuni funzionari della Provincia di Trapani.
L'attività mafiosa dei Morici viene inquadrata in questo contesto. Ecco perché parte il sequestro di tutti i beni e se ne chiede la confisca, perché le loro iniziative economiche sono ritenute tutte "oggettivamente idonee ad agevolare Cosa nostra". Non solo, ma secondo quanto ritenuto dal Tribunale di Trapani, anche le società non trapanesi operanti con i Morici erano consapevoli delle loro "qualità mafiose", e quindi delle conseguenze: posizioni dominante nel settore, vantaggi, zero problemi. Dato che poi si tratta di società consortili costituite proprio per l'esecuzione dei lavori vinti grazie alle gare "truccate", l'intera attività è illecita, e anche i contratti d'appalto sono nulli, perché vinti con ulteriori condotte illecite, come ad esempio la frode nelle pubbliche forniture o la violazione della normativa in tema di appalti.
Ma qualche mese fa, in appello, il Tribunale di Palermo ha ribaltato tutto, almeno per le aziende non trapanesi, coinvolte nello scandalo, decidendo la restituzione delle quote "ai rispettivi aventi diritto". Quello che scrivono i giudici è importante, perché ribalta totalmente la prospettiva di quanto è accaduto al porto di Trapani. "Non ci sono i presupposti per la confisca" scrive il Tribunale. Una sentenza che è un punto a favore dei Morici. Perché il Tribunale, analizzando i vari appalti, e il fascicolo delle indagini, fa notare che ciò che si pone in luce è "solamente il ripetersi di violazioni di legge, in particolare avuto riguardo ai lavori di riqualificazione della Litoranea, la cui esecuzione appare connotata da vere e proprie frodi, nonché da reati ambientali". Però per il Tribunale "non è possibile cogliere come la condotta dei Morici avrebbe assunto profili mafiosi, e poi come questi si sarebbero palesati alle altre società coinvolte". Insomma, si tratta di condotte spregiudicate, certamente, ma "ben possono essere attuate anche in Sicilia al di fuori di cointeressenze mafiose". Va poi rilevato, scrive il Tribunale, che "non sono evidenziati elementi di legami con Cosa nostra dei Morici". Insomma, "le sole violazioni di legge adottate dall'accusa benché tali da configurare indizi di turbativa di gara, falsi e frodi, non potrebbero attestare collusioni mafiose potendo trattarsi di atti di criminalità economica imprenditoriale per così dire comune...".
Anche per l'intervento del senatore D'Alì in favore dei Morici, la corte scrive che "va osservato che, pur volendo dare atto che esso sia stato rilevante ai fini dell'aggiudicazione dell'appalto, resta il fatto che resta difficile cogliere gli elementi da cui desumere che le vantate relazioni personali si siano innestate in un sistema di cointeressenze con Cosa nostra". Inoltre, Birritella lascia intendere che D'Al' si sia attivato concretamente per fare vincere le gare in questione alle aziende di Morici e a quelle del gruppo, e ci sono intercettazioni che fanno intendere chiaramente le relazioni esistente tra D'Alì e Morici, ma non ci sono altri elementi di indagine, e "non si capisce - scrive il Tribunale di Palermo - come, quando e attraverso quali specifici interventi l'aggiudicazione sia stata pilotata in favore di Morici".
Anche la presunta "caratura mafiosa" dei Morici esce molto ridimensionata. Sia perché "tutte le vicende processuali scaturite in arresti non venivano a toccare i Morici personalmente nè le loro imprese". Sia perché lo stesso nome di Francesco Morici, prima del 2001, quando cominciava ad accentrarsi l'attenzione degli inquirenti sull'aggiudicazione degli appalti in provincia di Trapani, per capire anche il ruolo del boss Francesco Pace, era comparso solo in due contatti telefonici del lontano 1992 di Pace con il capomafia di allora Vincenzo Virga. E lo stesso Virga, interrogato il 24 Maggio dagli inquirenti sui suoi spostamenti del giorno precedente, aveva parlato di una visita ricevuta a casa dal suo "amico" Francesco Morici. Se si escludono questi episodi lontani nel tempo e non conosciuti (erano atti di indagine non certo di pubblico dominio, anche perché, appunto, di scarsa rilevanza) Francesco Morici negli anni 2000 era considerato un importante imprenditore operante nel territorio trapanese da tantissimi anni e con un proprio gruppo societario, con idonei mezzi finanziari e strumentali, nel settore edile, come nella cantieristica navale e nei trasporti marittimi. La prima volta in cui Morici viene accusato di essere vicino a Cosa Nostra è il 13 Ottobre 2004: si tratta di un'informativa della polizia dalla quale però non era nato alcun tipo di provvedimento. Un'altra informativa è del 2007, e dà a Morici un rapporto privilegiato con il mafioso Pace, che gli avrebbe consentito una posizione di favore nell'aggiudicazione degli appalti. Rapporto "privilegiato" che però, per i giudici di Palermo non c'è. Ecco perché le aziende delle società consortili palermitane sono state restituite ai proprietari. E chissà adesso a Trapani cosa succederà, sicuramente bisogna fare in fretta, dato che dal 2013, cioè da 3 anni, ancora non si riesce a chiudere nemmeno il giudizio di primo grado.