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22/06/2016 06:05:00

Marsala, le "due rocche" e le due società

 Incurante d’ingombranti pudori, si muove a scatti tra le rocce e, giunto al cospetto dell’interlocutore, va subito al sodo: “Rimmi una cosa,Natà: ma l’amicu toe, chiddru chi poitta ddri ra beddri ‘spagnolette’, stionnu com’è c’ancora ‘u mmeni? Nesci chi, ‘nzama ddiu, ci successe quaicche cosa?Sent’ammia:telefonaci,ricci chi s’arricampa,chi niatri a iddru aspittamu”. Chiede, fa la questua, reclama, protesta: ha fame e la sua ‘ciurma’ ne ha più di lui. “Asparineddru” è un resiliente: ingoia dinieghi a raffica, ma non s’arrende. Tenta, di “strappare la gioia ai giorni futuri”. Prova, a fare ciò che gli piace. S’impegna, per placare la sua atavica fame. Ma tant’é.. “E va tenilu, c’è! Va sapiti, chissu, soccu cummina quann’è ‘a scola”: questo il commento del variegato popolo delle ‘Due Rocche’: ne chiederò conto al suo placido, sagace maestro. Ma, intanto, zompando tra una roccia e l’altra, lui, imperterrito, riesce nell’acrobatica impresa di scuncicare un po’ tutti: “Cumpà, mi ‘mpesti ‘u tubu e ‘a mascherina?”, “Ohè, chi fà mi l’ha ddari un pocu ri colomba?”.“Oh toh,amunì,ni l’ha ffari una beddra fotografia,ammia e all’amici mei?”. Un giorno, però, Asparineddru l’ha combinata davvero grossa. Dopo aver nuotato in un mare parecchio agitato, tramortiti dalla stanchezza, io e Natà, nelle rispettive e diversamente confortevoli sedie a sdraio, quel giorno, c’eravamo quasi assopiti. Lacerando l’ostinato silenzio del torrido pomeriggio, ci scossero le grida disperate d’una giovane donna “ Asparineddru, Asparineddru..unni siiu a sdivacare ‘stu ‘ran macabbunnu?!Runné? Runné? Squagghiau?! Era cu sò soru e ora avi chiossai ri ru uri cu ‘nsi viri!”. Preoccupazione, ansia, sgomento. Scrutiamo il mare, gli scogli intorno, la strada che li sovrasta: d’Asparineddru, neanche l’ombra. All’improvviso, fiscu e tennaru, spunta iddru: “Ohe, ma c’aviti? Chi cci vuciati? Chi cci chiamati? Un sugnu ccà? Amunì, ’u mmi scantati.. see, veru è, m’alluntanai un pocu..ma ccà vicinu arristai..canuscì a ddu turisti, ciccavanu ‘u ristorante, l’accumpagnai e iddri, quannu fomu ravanti ‘a porta, m’addumannaru: ‘Perché non ti fermi a mangiare con noi? Resta, sarai nostro ospite’. Puna manu, si po’ ddiri sempi ‘No’? Arristai, pecciò, e, pi darici cchiù piaciri, mi manciai, no unu, ma ru piatta ri pasta chi rizzi: minchia, ch’eranu bboni! Pi chissu,mi passi malu iriminni ri ‘nsubitu,ci chiacchiariai un pocu,poi però, ci fici pinsata:talì, rissi, megghiu chi m’arritiru,fazzi c’avissiru ‘a scamari, e mi nni tuinnai ccà,ri cuissa”. Reincarnazione degli scugnizzi di Zavattini e De Sica, del ‘Gennariello’ ipotetico destinatario del “Trattatello pedagogico” di Pier Paolo Pasolini, gli “sciuscià” delle ‘Due Rocche’, sono in preda, diuturnamente, ad un’inestinguibile ‘cilanca’. Frequentano saltuariamente la scuola. Stanno intere giornate a bighellonare. Talvolta, invece – negli antri bui d’una officina meccanica, tra gli odori acri d’una carrozzeria o le inebrianti essenze d’una parruccheria – s’ammazzano di fatica, per aiutare la famiglia. Gli “ sciuscià” delle ‘Due Rocche’, a dieci anni, campano già d’espedienti. Fatto che dimostra come anche nella comunità lilibetana, come del resto nell’ intero Paese, convivano (Asor Rosa,1977) “Due società”: a distanza siderale tra loro, per qualità della vita.

In una, a dieci anni, i bambini frequentano corsi di nuoto o chitarra, viaggiano e, oltre alla lingua italiana, parlano l’inglese ‘fluent’, leggono, studiano e spendono. Nell’altra, invece, gli “sciuscià”, loro coetanei, pur eccellendo nell’uso dell’idioma locale, vengono alle “Due Rocche” con biciclette sconcassate e costumi da bagno demodé. S’esaltano, urlano, strepitano per i tuffi con “piegatura” impeccabile. Raccontano le loro storie agli astanti per ‘captatio benevolentiae’: pi tanticchia ri pani cunsatu, una fetta d’ananas, un sorso di Coca-Cola. Prima o poi, qualcuno s’accorgerà di loro? Speriamo bene, con l’aria che tira..Ciononostante, dobbiamo difenderli e incoraggiarli se vogliamo che,prima o poi, possano portare a compimento la profezia, incastonata nello splendido poema di Elsa Morante: “Il mondo salvato dai ragazzini”.

G. Nino Rosolia



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