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06/04/2016 06:25:00

Giornalismo e gossip a Marsala. Quella foto in copertina che ci fa vergognare tutti...

Nei giorni scorsi la comunità di Marsala è stata scossa da una brutta notizia di cronaca. Un qualificato infermiere è stato sottoposto agli arresti domiciliari. Avrebbe abusato sessualmente di alcuni pazienti nello studio medico dove lavorava. Lo studio è quello del dottor Peppe Milazzo, noto medico, primario anche a Salemi. L’infermiere accusato di violenze e abusi è invece Maurizio Spanò, anche lui conosciuto. Conosco Spanò di vista, come tanti a Marsala. Non si può non riconoscere Spanò. Colpito da un angioma ne ha ricavato una faccia sfigurata a metà, che da bambino mi faceva spavento - mi ricordo - e mi attraeva. La collegavo, questa mezza faccia viola e cartavetrata, ad uno dei cattivi di Mazinga Z, aveva anche lui due facce, quel personaggio lì, come anche in Batman, mi ricordo, c’è un cattivo chiamato “Due facce”. Poi si cresce, la paura passa, diventa curiosità, poi a certe cose non fai più caso. E Spanò l’ho anche conosciuto. Soprattutto ho conosciuto suo figlio, Alessio, ragazzo in gamba, sveglio e generoso. Spanò è accusato di un reato gravissimo, sia per i modi in cui è stato consumato, sia per la continuità degli episodi che la Procura ha registrato con le classiche cimici nascoste (ormai non c’è indagine che non si basi su intercettazioni). Ho pensato molto in questi giorni a Spanò, anche in virtù di questa sua doppia faccia. Che è un po’ anche la nostra. Come la luna, abbiamo tutti una faccia visibile e una butterata e coperta, un nostro modo di raccontarci al mondo, una vita segreta che riserviamo ai pochi che ci stanno accanto, e una vita ancora più inenarrabile, uno sgabuzzino dell’anima, pieno di cose oscene e puzzolenti, dove abitano i nostri demoni. Ho pensato molto a lui e alla sua pena. Vedersi vivere così, messo all’indice, sulla bocca di tutti, dover sostenere lo sguardo dei familiari, tentare la difesa, che in tribunale è più facile che a tavola. L’inferno di Maurizio Spanò è la pena di questi giorni sospesi, seduto sul ciglio dell’abisso, gli occhi liquidi della moglie, immagino, dei figli. Le mille domande, i mille perché, i "non è come credi". Tp24.it è stato il primo giornale a dare la notizia dell’arresto di Spanò. Come avviene per tutti i reati a sfondo sessuale, e non essendoci ruoli o personaggi di interesse pubblico in mezzo, abbiamo cercato di evitare sia di mettere il nome che la foto dell'indiziato, già sottoposto alla gogna per l’arresto, eclatante, avvenuto in ospedale, mentre lavorava, e per le voci che correvano subito in città. Abbiamo anche evitato di dare i particolari, le allusioni, gli ammiccamenti morbosi. Naturalmente, tentare di difendere questa linea di buon senso, in questi casi, è come arginare il mare con un sassolino. E già il giorno dopo i giornali riportavano il nome di Spanò, e altri particolari della vicenda, e così abbiamo fatto anche noi. La foto, però, non ci siamo sentiti di pubblicarla. Per tanti motivi, sia perché non ha senso, lo conoscono tutti, non è un pericolo pubblico, né un pregiudicato dei tanti che arrestano ogni giorno, sia perché non avrebbe aggiunto nulla alle informazioni sul caso, ma avrebbe dato solo elementi pruriginosi in più, quella faccia infelice sbattuta in evidenza, quasi a dire, e a dare, il nostro “Crucifige”. Non c’è nessuno da crocifiggere. Io forse non sono più cosa di fare il giornalista, non lo so. Man mano che passa il tempo, ho sempre più compassione verso i deboli, gli smarriti, i perdenti della storia e dei giorni nostri. E c'è un tempo umano delle cose, lento, che mi fa sentire più a mio agio rispetto ai tempi della cronaca. E avrei voglia di praticare il carotaggio delle cose, entrarci dentro, più che planarci su. Questa settimana è tornato in edicola il mensile "S", che aveva sospeso per un po' le pubblicazioni. "S", che esce in tutta la Sicilia, fa parte del gruppo editoriale che edita anche il quotidiano on line Live Sicilia. Ho scritto per S per un periodo, so come lavorano. Si occupano molto di mafia, di casi giudiziari, di truffe e scandali piccoli e grandi. "S" cambia copertina a seconda della provincia. Un tentativo come un altro per vendere un pugno di copie in più. Ebbene, questo mese, la copertina per la provincia di Trapani era dedicata proprio al caso di Spanò. E che copertina: “Scandalo nello studio medico - Pazienti stuprati sotto anestesia”. E la faccia di Spanò in primo piano, sbattuta come un mostro, il mostro dalla porta accanto. Oltre alla copertina, campeggiava anche in tutte le edicole una locandina, identica. Quella copertina mi fa vergognare, da giornalista che forse non vuole più fare il giornalista, e da lettore, da uomo. Pensate, "S" in questo numero ha servizi davvero interessanti: le trivelle e l'inquinamento, le tangenti all’Anas, la mafia di Catania. Sceglie invece, solo per noi, per Marsala, la copertina pornografica, il gioco facile per parlare alle viscere dei potenziali acquirenti, dà in pasto un uomo per pochi euro in più. Sottolissimo è il filo che separa una buona copertina da una istigazione al suicidio. Non è la prima volta che accade, per carità. I giornali hanno il sacrosanto diritto a raccontare i fatti, con il proprio taglio e il proprio stile. E, anzi, la "barbaradursa" informazione in televisione, così come i mille siti osceni di cronaca, su questo giocano e di questo si nutrono. Non è la prima volta che accade. Però bisogna che qualcuno lo dica e scriva: basta. Basta alle tette e ai culi, basta ai gattini, basta agli incidenti stradali gonfiati come se fossero gli scontri del secolo, basta al sensazionalismo. Basta ai mostri. L’altra volta, quando un tale ha cercato di darsi fuoco al Comune di Marsala, davanti al Sindaco, vedevo non so in quale sito la foto di un uomo in fiamme, una specie di torcia umana. Una cosa che non c’entrava nulla. Oppure qualche giorno fa, quando è stata trovata morta in un casolare una giovane donna, straniera, un’altra foto: una specie di cadavere, con un telo argentato, un’altra cosa che non c’entrava nulla. Tutto gonfiato, talmente iperbolico da diventare involontariamente satirico, tutto fatto solo per guadagnare qualche click, e con i click incassi sempre più improbabili e miseri. Nei dibattiti ai quali partecipo sul futuro dell’informazione - uno degli argomenti più discussi nelle tavole rotonde di tutto il mondo - io dico sempre una cosa: al di là di internet, di facebook, della carta stampata e tutto il resto, il futuro dell’informazione, e del giornalismo sta - come è da sempre - nella sua vera radice, che è questa: la produzione di senso. Oggi più che mai, fare il giornalista ha questo compito, ripeto: produrre senso in una comunità. Mettere ordine nel caos delle notizie che riceviamo, dare chiavi di lettura, mettere insieme i pezzi, dare logica ai fatti. Scomporre e ricomporre le cose, seguendo non necessariamente la via della popolarità ma quella necessaria di una propria verità. Difendere una linea di buon senso La stampa locale, invece, si suicida: sembra aver deciso che il giornalismo deve morire, e che produrre senso non serva, anzi, bisogna calcare l’osceno, parlare al basso ventre, contare sugli umori e gli ormoni, più che sul buon senso e la ragione. Parlare alle ghiandole salivari delle persone, più che alla loro testa, e al loro cuore. Rinunciare alle inchieste e agli approfondimenti, a interrogarsi e a chiedere. Qui non si difendono le ragioni di Spanò, sia chiaro. Ci sono i suoi avvocati. Qui si difende il senso di un mestiere, quello del giornalismo, che viene ogni giorno sempre più violentato. Siccome nessuno compra più i giornali, i giornalisti sono malpagati, l’opinione pubblica non esiste, allora si pensa che si può giocare al ribasso, tanto, nel fango, qualcosa si pescherà. Non so a quanto serva scrivere questo, se abbia un valore civile, se possa aprirsi una discussione. Il fatto è che mi fa stare male. Come un servizio terribile andato in onda due sere fa su Striscia la Notizia: il "campionato del salto dell'inferriata", un'indecente presa per il culo ai danni di persone (che chiamiamo "migranti") che cercano di fuggire dai centri di "accoglienza" (in realtà di detenzione) dove sono rinchiusi. E’ un tumore devastante, questo qui. Mangia la nostra dignità, mangia la nostra faccia. Di questo passo, alla fine, quelli con il volto butterato e inguardabile, i veri mostri, saremo noi.

 

Giacomo Di Girolamo



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