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24/10/2015 06:45:00

L'inchiesta su Michele Licata. Il sindaco di Petrosino: "Ci deve 2 milioni di tasse"

Michele Licata è il re delle strutture turistiche e di ristorazione a Marsala e dintorni. Il padrone di un impero che negli ultimi anni è stato colpito più volte dalle inchieste della magistratura. Dai reati ambientali, a quelli fiscali, all’evasione e alla truffa.
Ieri l’ultima notizia, quella legata all’indagine che coinvolge lui e i suoi familiari.
Un imprenditore “spregiudicato”, Michele Licata, viene dipinto dagli inquirenti.
Evasione fiscale, truffa, ricettazione, riciclaggio e auto-riciclaggio. Sono queste le ipotesi di reato formulate dalla Procura di Marsala nell’ultima inchiesta che coinvolge Licata e altre sei suoi familiari. L’abitazione del milionario paperone marsalese, e le strutture Delfino, Delfino Beach, Volpara, Baglio Basile, sono state perquisite dalla Guardia di Finanza che che ha sequestrato denaro contante per 50 mila euro e assegni per circa un milione e 200 mila euro.
La più grande struttura dell’impero di Licata è il Baglio Basile, ricade nel territorio di Petrosino. E’ un enorme resort con spa, centro massaggi, camere di lusso e sala ricevimento per banchetti. Ieri, il sindaco di Petrosino, Gaspare Giacalone, ha detto pubblicamente che il Comune da lui amministrato vanta un credito di circa 2 milioni di euro per tributi comunali che negli anni non sarebbero stati versati dalle società di Licata. ”In questi anni abbiamo immediatamente attivato tutte le procedure previste dalla legge - aggiunge Giacalone. Ma non abbiamo ricevuto ancora un centesimo. Abbiamo incontrato, scritto e sollecitato il curatore del sequestro e ancora attendiamo. E tutto questo è un danno enorme per Petrosino oltre che una vergogna che non sono disposto ad accettare. O si applica la legge e si paga, come facciamo tutti i cittadini, o sono pronto a restituire la fascia tricolore”.
L’indagine di questi giorni, curata dal procuratore Alberto Di Pisa e dal magisrato Antonella Trainito, nasce da quella della scorsa primavera. Procura e Guardia di Finanza avevano sequestrato per frode fiscale e truffa allo stato un patrimonio di circa 100 milioni di euro. Denaro, quote societarie, beni mobili e immobili, per un valore di circa 13 milioni di euro, nonché quote sociali e beni mobili e immobili di quattro complessi aziendali per un valore stimato in circa 90 milioni di euro. Un impero finito in amministrazione giudiziaria. L’indagine di questi giorni parte da lì. Da quelle settimane calde in cui i finanzieri tenevano sotto controllo l’impero di Licata.
Dall’inchiesta è emerso che Michele Licata, per evitare di subire ulteriori sequestri, avrebbe tolto somme di denaro dai sui conti correnti per versarli su quelli di suoi familiari (la moglie Maria Vita Abrignani, di 53 anni, che ancora oggi si vede alla cassa al Delfino, la madre Maria Pia Li Mandri, di 76 anni, e la figlia Silvia, di 21) fino a quel momento non indagati, ma che adesso, per questo, devono rispondere del reato di ricettazione, come pure la figlia Valentina, di 28 anni, e il genero Roberto Cordaro, di 31, figlio del consigliere comunale Pino Cordaro, del Partito Democratico.
Michele Licata, inoltre, con le figlie Valentina e Clara Maria, di 27 anni, è indagato per evasione fiscale e truffa. Quest’ultimo reato sarebbe stato commesso in danno di alcune loro stesse società, dalle cui casse sarebbe stato prelevato denaro (circa 10 milioni di euro) poi depositato sui loro conti correnti personali.
Questi sono i fatti degli ultimi giorni. Un’ulteriore guaio giudiziario cade sull’imprenditore che in città ha costruito qualunque cosa. Che muove interessi nel settore turistico come in quello delle residenze sanitarie e case di cura.
Tra le strutture sequestrate in primavera, infatti, c’è anche “Rakalia” , una struttura per l’assistenza ad anziani e disabili. Tempo fa ce n’era una anche a Petrosino, che doveva accogliere migranti, ma in poco tempo è stata revocata l’autorizzazione.
A finire sotto sequestro, in primavera, anche le ditte “L’arte bianca” e “Sweet Tempation”, operanti nel settore panificazione.
Per gli investigatori che si occuparono dell’impero di Licata in primavera, sarebbero state evase imposte per oltre otto milioni di euro, mentre i finanziamenti pubblici “illecitamente” ottenuti sarebbero stati oltre 4 milioni di euro. I fatti contestati sono relativi al periodo tra il 2006 e il 2013. Indagati per false fatturazioni (per oltre 20 milioni di euro) verso le società del “gruppo Licata” sono diversi imprenditori e ditte.
Ma gli affari di Licata riguardano soprattutto il turismo e la ristorazione. E’ lì il business che l’imprenditore marsalese voleva portare al massimo nel territorio di Petrosino con il grande tentativo di creare un enorme polo ricettivo nella zona di Torrazza.
Torrazza è finita al centro di un caso di speculazione e abusivismo edilizio, culminato con un’inchiesta della magistratura e il sequestro di un’area di 18 ettari. E’ la vicenda del complesso turistico alberghiero che stava costruendo la Roof Garden srl di Michele Licata. Un’area enorme, di 18 ettari, rientrante nella zona umida dei Margi Nespolilla. Tutta una zona che Licata piano piano è riuscito a comprare, lotto per lotto, fino a creare un unico campo, quasi da Monopoli. E un progetto che prevedeva campi da golf, hotel, tutta una serie di vie interne, fino ad arrivare al mare, alla spiaggia di Torrazza, dove la Roof Garden aveva costruito un lido che doveva essere stagionale, ma che non lo era. Dove aveva cominciato a costruire le strutture ricettive, che sulla carta erano dei caseifici ma a guardarli non ne avevano l’aspetto. Il tutto è finito sotto sequestro. E i reati contestati sono quelli di lottizzazione abusiva, abusivismo edilizio con l’aggravante di essere avvenuto in una zona a protezione speciale quale è l’area umida dei Margi. E quella è la stessa zona dove Calcedonio Di Giovanni, imprenditore di Monreale creatore del residence Kartibubbo a Campobello di Mazara, 40 anni prima voleva creare il mega complesso turistico. A Di Giovanni un anno fa hanno sequestrato beni per 450 milioni di euro.
Per la Dia la scalata dell’imprenditore di Monreale, con diverse imprese nella provincia di Trapani, sarebbe stata “indissolubilmente intrecciata con i destini delle famiglie mafiose di Mazara del Vallo”, con quelli di Mariano Agate, e legate alle attività di Vito Roberto Palazzolo, ritenuto il gran riciclatore del denaro di Cosa Nostra.
Che legame c’è tra Di Giovanni e la Roof Garden di Michele Licata, a parte la somiglianza tra Kartibubbo e il complesso abusivo di Torrazza, e i sequestri milionari? Una compravendita da circa 500 mila euro. Perchè una delle aziende riconducibili a Di Giovanni, in realtà intestata alla moglie Orsola Sciortino, era proprietaria dei terreni di Torrazza. 15 ettari ricadenti nella zona dei Margi che prima di mettere in liquidazione la società di Di Giovanni vende in blocco alla Roof Garden di Michele Licata, una delle società messe sotto sequestro nei mesi scorsi. Un affare, dicevamo, del valore di quasi 500 mila euro che tutti conoscono a Petrosino. I bene informati parlano di una supervalutazione per quei terreni abbandonati in cui la Roof Garden voleva creare una roba simile a Kartibubbo. Non è successo, anche questa volta i cittadini hanno protestato per non vedere altre speculazione a Torrazza, e la magistratura ha messo i sigilli a tutto per abusivismo edilizio e lottizzazione abusiva.
Il lido Le Torrazze nel frattempo è stato demolito perchè, appunto, non aveva i requisiti di stagionalità ed era dunque abusivo.

 

 



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