E' stata licenziata Maria Concetta Riina, 39 anni. La donna è nipote di Totò Riina, figlia del fratello Gaetano, anche lui condannato per mafia (dieci anni). Lavorava da nove anni in una concessionaria d'auto a Marsala ed è stata licenziata, perchè la Prefettura ha inviato una nota al titolare. A rendere nota la vicenda è il legale della signora, Giuseppe La Barbera, che racconta: “Fedina penale immacolata, mai indagata, mai sfiorata da ombre”. E allora? Allora la Prefettura ha emesso un’interdittiva nei confronti del suo datore di lavoro che è anche legale rappresentante di una società immobiliare. “La inquietante presenza nell’azienda della citata signora Riina – si legge nel documento della Prefettura – fa ritenere possibile una sorta di riverenza da parte del titolare nei confronti dell’organizzazione mafiosa ovvero una forma di cointeressenza della stessa organizzazione tale da determinare un’oggettiva e qualificata possibilità di permeabilità mafiosa anche della società immobiliare”. Il prefetto Leopoldo Falco ha fatto suo “il prevalente e consolidato orientamento giurisprudenziale”, secondo cui “la cautela antimafia non mira all’accertamento di responsabilità, ma si colloca come forma di massima anticipazione dell’azione di prevenzione… tanto è vero che assumono rilievo per legge, fatti e vicende anche solo sintomatici e indiziari, al di là dell’individuazione di responsabilità penali”. Insomma, il titolare dell'azienda ha dovuto licenziare la Riina, se no non avrebbe avuto la certificazione antimafia. Tant'è che nella lettera di licenziamento alla dipendente scrive che “si vede costretto a licenziarla, nonostante abbia apprezzato nel tempo le sue doti e correttezza professionale”. Nel frattempo, però, il titolare ha impugnato l’interdittiva davanti al Tar. “Siamo di fronte ad un problema sociale – aggiunge l’avvocato Stefano Pellegrino – perché sociale è il rischio che deriva dall’esasperazione del concetto di antimafia. Nessuna voglia di aggirare le regole, nessuna giustificazione ai comportamenti illeciti che devono essere perseguiti. L’economia in Sicilia rischia, però, di essere messa in ginocchio da questo rigore eccessivo”. Chi usa parole dure è l’avvocato La Barbera che si dice “sconvolto dalla violenza con cui si applicano le norme dello Stato. Le leggi, volute come scudo di difesa, diventano armi letali. La signora è stata licenziata e una famiglia privata dell’unica fonte di reddito per la sola colpa di chiamarsi Riina. Prendiamo atto che in Italia esiste, oltre all’aggravante mafiosa, anche quella per il cognome che si porta”.