Gli echi delle marcette non si sono ancora spenti. Non sono finiti i festeggiamenti per l’elezione del nuovo Sindaco di Marsala, Alberto Di Girolamo. Ma è comunque tempo di mettere le cose in chiaro, parlare di trappole ed equivoci. Ora.
La prima trappola, della quale nessuno parla, riguarda il voto, anzi il non-voto. Meno di un marsalese su due è andato alle urne. Alla maggioranza della città signori miei, di eleggere il suo sindaco non gliene fregava nulla. Quando ero piccolo, mi ricordo, c’erano i “viddani” dalle mie parti che, andavano a votare come si andava ad una festa importante, con l’abito buono. Per alcuni era anche l’occasione di un bagno, di un taglio fresco dal barbiere, e si andava a votare in famiglia, in silenzio, il certificato elettorale stretto in pugno, la tessera - la carta d’identità - nell’altro. Entravano in cabina e ci mettevano un’eternità a votare, perchè contemplavano il colore dei simboli, la festosa allegria della scheda, e la mano gli tremava quando votavano, loro per un giorno uguali agli altri, ai marchesi, ai notai, ai parrini. Era una festa, il voto. Oggi invece l’idea del voto, questa cosa così bella, così importante, non appassiona più nessuno, stanca. E chi vota spesso lo fa per qualcosa di misero e immediato: per un palo della luce, una stradella, venti euro, una promessa per tirare a campare ancora un po’. In queste condizioni, con questa astensione, qualunque maggioranza politica è comunque una minoranza tra le persone. E la lotta contro questa marea che cresce di elezione in elezione si fa non con l’indifferenza, ma con la partecipazione, e tenendo sempre ben presente di rappresentare non la maggioranza dei cittadini, ma purtroppo, una elite, anche abbastanza rissosa. Giulia Adamo, per dire, nel suo delirio di onnipotenza, questo limite non ce l’aveva. E il danno si è visto. Siccome è tutto già scritto, al Sindaco consiglio la lettura del "Saggio sulla lucidità" di Saramago, per capire cosa proviamo noi cittadini, la diffusa claustrofobica sensazione di non poter incidere sul tempo presente, neanche con il voto. Lo consiglio anche ai consiglieri comunali. Si illudono, per via della doppia preferenza, di essere ancora collettori di tanti consensi, ma non è così. Per dirla tutta, ci fosse stata la preferenza unica, Sturiano mille e rotti voti non li avrebbe presi mica.
Il secondo equivoco - trappola per il Sindaco di Marsala Alberto Di Girolamo riguarda il partito del quale lui è segretario, il Pd. Che vince, con i numeri, ma che - basta scorrere i nomi degli eletti - è un partito senza identità, con dentro tutto e il contrario di tutto. E’ forse anche un partito senza storia. Fanno parte del Pd quasi tutti i consiglieri eletti della maggioranza, e probabilmente qualcuno dell’opposizione. Siccome il sindaco - segretario ha ben presente la dimensione etica del fare politica dovrebbe cominciare ad interrogarsi, con calma, sulla qualità del consenso intorno al Pd. Va bene il partito inclusivo, ma non tutti i voti sono buoni, e non tutte le porte vanno aperte. Se no, altro che marea, questo è uno tsunami che travolge per primo le persone corrette come Di Girolamo.
Ma veniamo alla cosa più importante: quanto è pericolosa in politica l’apologia del bene…. Nello slogan del Sindaco Di Girolamo, “un Sindaco per bene”, c’è un’ovvietà - che in comunicazione funziona sempre - e una trappola. Siamo in tanti per bene, non solo Di Girolamo. Essere per bene è condizione per fare parte della società, ancora prima che per fare il Sindaco. Ecco, a noi cittadini serve anche un Sindaco bravo.
Attenzione, qui parlo ai tifosi, quelli che ora mi attaccheranno nei loro cortiletti dicendo “che schifo! per Giacomo Di Girolamo essere onesti non conta!” e altre buttanate simili. Quello che qui scrivo lo faccio per tutelare il Sindaco, cari tifosi. E tutelarlo da voi. Perchè l’equivoco della persona per bene potrebbe portarlo sulla cattiva strada.
Fate indossare al Sindaco l’armatura dell’impero del bene, mettetegli in mano una spada, dategli il compito di combattere i mali del mondo: lo vedrete affondare appesantito dalle buone intenzioni con cui l’avete (ingenuamente?) bardato.
Autoproclamarsi buoni per definizione significa poi non riconoscere gli errori, tacciare di cattiveria speciosa chi non la pensa come te. Cose già viste in questa lunga campagna elettorale, non tanto da Di Girolamo quanto dai suoi più accecati e acriticamente schierati sostenitori.
Abbiamo bisogno di un Sindaco per bene, certo. Ma abbiamo bisogno ancora prima di una società di persone per bene. Se no qua sembra, ed è il vero pericolo per Marsala, che ad essere per bene debba essere solo il Sindaco, e tutti gli altri sono esentati. Come Cristo che toglie i peccati dal mondo, e amen. Ecco, Alberto Di Girolamo è persona per bene, io lo so, e non ho bisogno che me lo dimostri. Ma attorno a lui, al suo comitato, tra i suoi alleati, ci sono e c’erano però anche persone con le quali uno come Nino Rosolia, persona degnissima, ha detto che non si prenderebbe neanche un caffè. Il Sindaco per bene non serve se il contesto diventa marcio. E non assolve: ecco perchè dico che la riflessione sulla qualità del consenso che investe il Pd, riguarda anche il Sindaco.
E’ una questione non di bontà, la politica - se no facevamo Sindaco una suora - ma di intelligenza. A noi non serve un Sindaco buono e basta. Serve un Sindaco che abbia la bontà dell’intelligenza, cosa ben diversa.
Ecco perché auguro al mio omonimo Sindaco Di Girolamo di essere anche un po’ figlio di buona donna, all’occorrenza. E’ questo quello che ci serve.
E a proposito di caffè. “Il sonno della ragione genera mostri” dice un famoso quadro dello spagnolo Goya. Frase stracitata. L’altra volta, però, un mio amico che si intende di lingua spagnola mi ha detto: gli italiani questa frase (“el sueno de la razon…”) la traducono sempre così, “il sonno della ragione...”. Ma secondo me - mi diceva - il significato è non “il sonno” ma “il sogno” della ragione, che genera mostri.
Mamma mia, che cosa inquietante. Che cosa vera. Il sogno, il delirio. Quando la ragione brama, non ammette altro all'infuori di se, pretende di spiegare e giudicare tutto, lì nascono piccoli e grandi orrori.
Io ne ho vissuto uno, piccoletto, ma sempre orrore è. Il sabato precedente all’elezione, il primo turno, mi trovavo di passaggio al bar Saro, a Birgi, per una mia clandestina passione: la sua insalata di mare. Tornavo da Partinico - avevo presentato in una scuola il mio ultimo libro - ed avevo solo questo desiderio: l’insalata di mare di Saro. Arrivo, e ti trovo a tavola, nella verandina, due persone cordialissime, Giovanni Sinacori e Vincenzo Ronci, politici di lungo corso, sostenitori di Massimo Grillo, con un terzo amico loro, e un posto libero accanto. Mi invitano a sedermi con loro. E ci mancherebbe, quale migliore occasione per me per avere magari qualche retroscena sulla vigilia del voto al comitato di Grillo. Un cronista, poi, deve stare a tavola con tutti, con i santi e con i briganti, perchè vive di storie, mica di relazioni.
Esce ad un certo punto una tale, che conosco di vista. Sinacori la saluta cordialmente e me la presenta: Linda Licari. Anche lei candidata, ma con Di Girolamo. L'avrò vista alcune volte, ma, effettivamente, non la conosco. Ci presentiamo, due battute veloci, ciao, buone cose. Finisco il mio pranzo, e il mio sabato. Il giorno dopo, la mia domenica elettorale è scandita da una serie di amici che mi chiamano sdegnati (i miei amici hanno il senso del ridicolo, altri no) e mi dicono che gira via whatsapp tra i tifosi di Alberto Di Girolamo come una specie di catena di Sant’Antonio virale una foto mia, una foto rubata, clandestina, che mi vede a tavola proprio con Sinacori e Ronci. La foto è di fianco a questo articolo. La didascalia recita: “Cosa ne pensi?”. Oppure; “Hai visto?”. Neanche fosse un riunione di una loggia, o di una ‘ndrina. Me l’avrà sicuramente fatta Linda Licari, adesso consigliera comunale, quella foto, chi altri. Se me l’avesse chiesto, mi sarei messo in posa. Non c’era bisogno di questa cosuccia. Non ho nulla di personale contro Licari, e non so cosa volesse dimostrare con quella foto, chi aggraziarsi. Nella mia vita non c’è un minuto nel quale io mi imbarazzi o mi vergogni di qualcosa. Ma per Licari, persone come lei, il sogno della ragione assoluta, il sogno di essere sempre e comunque dalla parte del giusto perchè appunto per bene, migliori, perchè si ha, che so, il marchio dell’antimafia griffata, che ne so, ecco per quelle persone lì, che non conoscono ma etichettano, giudicano dall'alto della loro purezza autocertificata, hanno paura delle loro stesse foto, schiacciano il tasto e nascondono la mano, ecco, il sogno del loro aver ragione genera piccoli mostri: una foto rubata, un invio clandestino per alimentare la diceria, l'infamia, l’insinuazione: sarà cosa fanno, cosa tramano. (Proprio quella domenica, poi, ricordo, ero a pranzo con un po' di gente, tra cui Tommaso Picciotto, altro candidato della stessa lista di questa Licari. Ma lì foto non me ne hanno fatto, peccato...). Che amarezza. Gentile lettore, non è una questione di poco conto, nè un fatto personale. E' un attentato alla libertà della mia professione. Perchè, con questo precedente, tutto fa pensare che ci siano altre immagini mie che girano, in altre situazioni, e che magari io paghi il prezzo dell'essere libero, critico, autonomo con un pedinamento ossessivo delle mie abitudini e frequentazioni. Che amarezza.
Il sogno della ragione genera mostri. Mostricciatoli. Da questo deve guardarsi il Sindaco Alberto mio omonimo. Chi oggi pedina me, arriverà domani a pedinare e giudicare lui. E poi c'è un'ultima cosa sulla quale deve stare attento, un’ultima trappola: quella della legalità. L’ho sentito dire spesso in questi giorni: sarò il Sindaco della legalità. Va bene, anche perché non credo si possa essere sindaco dell’illegalità. Ma la legalità è il mezzo di un azione di governo, non il suo fine. Dovrebbe essere una parola mai pronunciata, perchè applicata, come la respirazione. E se proprio dobbiamo trovarla, una parola, a me piace questa: giustizia. Che era una parola di sinistra, una volta, come mi insegnò il preside Li Causi, nel senso della giustizia sociale, la riduzione delle disuguaglianze e ai privilegi più odiosi. Ci levi di dosso quest’ansia, il Sindaco Di Girolamo, il dover patire piccole e grandi giustizie, l’assistere impotenti alla distruzione del ben comune. E, giusto per tornare ai faziosi, anche del “buon senso” comune.
Questo giornale, indipendentemente da chi sarà, a breve, a dirigerlo darà in questo senso al Sindaco Di Girolamo il maggiore aiuto possibile, garantendo il contropelo quotidiano, il nostro essere il legno storto di questa piccola comunità, alla ricerca della sfumature, della ambiguità, delle contraddizioni del potere, mai allineati ma sempre un po’ più avanti o un po’ più indietro rispetto alla marcette assordanti delle bande che ancora festeggiano in città.
Giacomo Di Girolamo