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09/05/2015 06:40:00

Trapani, cominciato il processo per il giro di prostituzione nella città bene

 La prostituzione va a processo. Infatti, ha avuto inizio nella giornata di ieri, dinanzi al Tribunale di Trapani, il procedimento giudiziario scaturito dall'operazione che nello scorso novembre aveva fatto emergere un vasto giro di prostituzione. Un inchiesta condotta dalla polizia giudiziaria del Corpo Forestale che, attraverso centinaia di intercettazioni e diverso materiale posto sotto sequestro, aveva ricostruito il ruolo di Ana Maria Bermudez Valdes, 43 enne di origini cubane da anni residente nel trapanese. La Bermudez ha un curriculum di elevato spessore nel mondo della prostituzione, tanto da aver già scontato una condanna a 2 anni e 4 mesi per sfruttamento della prostituzione minorile per fatti inerenti al biennio 2000-2001. Gli episodi per i quali si trova adesso sotto processo invece si riferiscono al 2011 e assieme alla donna sono stati rinviati a giudizio il compagno Gaetano Lampasona (49 anni) e Giuseppe Piacentino (37 anni). La pubblica accusa è sostenuta dal pm Andrea Tarondo; il collegio giudicante è presieduto da Alessandra Camassa.
A ricostruire in aula le dinamiche che hanno caratterizzato le indagini di polizia, è stato l'ispettore Croce Conigliaro del Corpo Forestale. «Non appena abbiamo iniziato i nostri approfondimenti, ci siamo trovati dinanzi ad un organizzazione ben strutturata, nella quale ognuno aveva i suoi compiti e non sempre tutti erano a conoscenza dell'intera composizione dei personaggi. Abbiamo subito notato che in realtà, molte delle utenze che venivano quotidianamente utilizzate erano intestate a cittadini stranieri non appartenenti all'organizzazione». A detenere il monopolio delle sim card (talvolta intestate a persone di nazionalità cinese) sarebbe stata proprio la Bermudez. «In alcune occasioni le ragazze erano obbligate perfino a pagare per avere la disponibilità di queste sim riservate». Una vera e propria «scuderia» composta da donne e transessuali provenienti dall'intero continente latinoamericano, ma residenti in Spagna ed in Portogallo. «Tutti utilizzavano un nomignolo. C'era tale Marzia, Cristina, Maria. Tutti nomi fittizi che i clienti conoscevano bene». Durante la testimonianza molti dei «potenziali» clienti non sono stati identificati, ma in un caso si è fatto chiaro riferimento ad un noto avvocato del foro di Trapani. Il legale, secondo la ricostruzione, è stato intercettato durante una conversazione con Ana Maria Bermudez nella quale chiedeva la disponibilità di un transessuale identificato come Jennifer.
Ma c'è dell'altro. «Il gruppo era alla costante ricerca frenetica di nuove case». Uno dei punti di snodo era in via Carosio. «Lì avevano la disponibilità di due appartamenti, al primo ed al terzo piano». Poi è stato il turno del ruolo che la Bermudez avrebbe esercitato sulla figlia per indurla alla prostituzione. Nel corso dell'interrogatorio di garanzia la donna aveva respinto al mittente tutte le accuse: «Non avrei mai potuto farlo, è sangue del mio sangue». Durante la testimonianza, tuttavia, l'ispettore Conigliaro si è soffermato anche su questo punto, raccontando una realtà diversa. «La donna rispondeva al telefono per conto della figlia, prendeva appuntamenti per suo conto e poi la avvisava. Inoltre negli annunci, visionati dai nostri ispettori su alcuni siti internet, venivano inserite delle fotografie di ragazze molto simili alla figlia. Le foto però erano false e ce ne siamo resi conto incrociando le foto pubblicate con quelle contenute all'interno di un personal computer posto sotto sequestro alla Bermudez».

Marco Bova



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